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IL CAI

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La nostra storia

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La nostra storia (pagina 2)

Il CAI non fu assente nella tragedia dall’entrata in guerra contro l’Austria dal maggio del 1915, quando il presidente del CAI, senatore Lorenzo Camerano, lanciava agli alpinisti italiani il seguente proclama: “La Patria chiama tutti i suoi figli al fiero cimento. Accorriamo con cuore acceso di sacro amore per la grande Madre comune e con fede incrollabile nei suoi alti destini e nella sua vittoria, a dare a essa tutta l’opera nostra e il nostro sangue”. Oltre 2000 soci risposero alla chiamata e molti di più furono gli italiani che si sacrificarono nella “guerra bianca” su quelle Alpi che allora assunsero un significato di baluardo dei sacri confini. In quegli anni l’opera del CAI venne principalmente consacrata alla guerra, con opere di propaganda e di assistenza. Ma già allora il CAI fu presente nella protezione civile, come quando nel gennaio 1915 un terribile terremoto sconvolse la terra d’Abruzzo, e la Sezione di Roma organizzò i primi soccorsi.

 

Nel primo dopoguerra, proprio in conseguenza della diversa percezione della realtà della montagna entrata di forza nella coscienza nazionale, cambia anche il profilo dei frequentatori, che da una connotazione borghese e alto borghese si cala in una realtà sociale più vasta costituita dalla classe operaia e studentesca, entrando nei circoli operai, nelle scuole, nell’università con l’istituzione della SUCAI, Sezione universitaria, nelle istituzioni culturali, nelle associazioni irredentiste. 

 

Dopo l’inizio dell’avventura totalitaria fascista, il CAI, nonostante fosse stato inquadrato d’autorità nel Comitato Olimpico Nazionale Italiano e sottoposto al controllo diretto delle gerarchie del governo, seppe mantenere l’indipendenza della legalità democratica delle proprie istituzioni e deliberazioni, proseguendo nelle attività sociali con attendamenti, escursioni, opere alpine anche a favore delle popolazioni di montagna, rifugi e pubblicazioni, come ebbe a riconoscere il presidente generale di nomina governativa Angelo Manaresi che dichiarò che il CAI “il suo programma l’ha sempre avuto davanti a sé, solo e schietto, nelle Alpi da percorrere e da scalare”, lasciando alle Sezioni quella autonomia “che è il segreto del loro fiorire”.

A livello di alpinismo individuale non mancarono le medaglie al valore atletico assegnate agli alpinisti per il tracciamento di vie nuove di 6° grado, nell’esaltazione retorica di una competizione nazionalistica.                            

 

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