Ueli Steck è precipitato il 30 aprile sul Nupse mentre si stava allenando per la grande impresa che aveva concepito: la traversata, da molti considerata impossibile, Everest-Lhotse.

Non si hanno dettagli sull’incidente; la famiglia in un comunicato ha fatto sapere che “quando ci saranno informazioni attendibili sulla morte di Ueli Seck i media saranno informati".

Steck non aveva compagni con sé; il corpo è stato ritrovato nei pressi del campo 1 del Nupse.

Salire veloce, slegato, da solo: era questo il suo stile, il marchio di fabbrica della “Swiss Machine” come era soprannominato.

Deteneva il record di velocità sulla Nord dell’Eiger (2 ore e 22 minuti), ma la massima espressione del suo speed climbing era stata la salita solitaria della parete sud dell’Annapurna dal campo base avanzato e ritorno in 28 ore. Quella volta si rese conto di essersi spinto troppo in là: “Adesso mi fermo un po’. Devo riflettere. Ho rischiato troppo. Mi sono reso conto quando sono sceso di essere andato oltre il limite”.

Nell’estate del 2015 aveva scalato in 62 giorni tutti gli 82 quattromila delle Alpi, spostandosi in bicicletta o a piedi da una montagna all’altra.

Prima di partire per la spedizione che gli è stata fatale aveva spiegato in una intervista quale fosse la ragione profonda del suo alpinismo: “Voglio sempre scoprire il mio limite, vedere ciò che è possibile. Forse è questo che mi differenzia da molti altri alpinisti. Non sono costantemente alla ricerca di una cima inviolata, per me ha un'importanza secondaria. Quello che cerco è capire ciò che è umanamente possibile fare”.