A cura della COMMISSIONE REGIONALE TUTELA AMBIENTE MONTANO

Un osservatorio per monitorare lo stato di salute

dei Parchi e delle Riserve in Sicilia

La marcia nell’area dello Zingaro, del 18 maggio 1980, destinata a fermare la costruzione della strada che avrebbe cancellato uno degli ultimi tratti integri di costa siciliana, è considerata l’evento costitutivo del movimento ambientalista a livello regionale, nonché l’antefatto più rilevante verso l’approvazione della legge regionale n. 98 del maggio 1981, che pose la Regione Siciliana all’avanguardia in materia di aree protette.

Così la galleria stradale incompiuta da cui si accede ancora oggi a quella che è rimasta forse la più famosa riserva naturale siciliana, rappresenta in fondo la sintesi e l’emblema di una vicenda politica e gestionale che ormai va avanti da oltre 40 anni.

Quel tunnel testimonia che la politica protezionistica avviata con dieci anni di anticipo rispetto alla legge quadro nazionale ha fermato quelli che sarebbero stati gli atti finali di un processo di sconvolgimento del territorio avviato a partire dagli anni ’50 del Novecento e che aveva già portato alla realizzazione di devastanti progetti di sviluppo industriale (raffinerie e impianti chimici soprattutto) e alla disordinata e in massima parte illegale urbanizzazione di gran parte delle aree costiere.

Solo grazie ai Parchi e alle riserve oggi i più giovani possono sperimentare l’importanza ambientale e la bellezza paesaggistica degli stagni di Vendicari, delle calette di Monte Cofano, dei laghetti dei Nebrodi, di alcuni crateri avventizi dell’Etna. Tutti ambienti che a un certo punto sembravano destinati a sicura scomparsa.

Ecco perché come Commissione regionale per la Tutela ambiente montano del Club alpino (CRTAM) abbiamo pensato di istituire un Osservatorio di monitoraggio sullo stato di salute dei nostro sistema regionale delle aree protette. Perché si tratta di un patrimonio che ormai appartiene alle future generazioni, perché è stato già consegnato da quelli nati nel Novecento ai giovani del nuovo millennio. E non si tratta di argomenti che possono essere oggetto di contese ideologiche, perchè semmai la crescente richiesta di natura e di fruizione dimostra ( e avviene ormai da almeno un paio di decenni) che le aree protette proteggono la biodiversità, ma al contempo offrono a turisti e residenti i soli luoghi in cui sperimentare delle esperienze altrove ormai impossibili.
Rappresenta in certi casi un problema gestionale la richiesta crescente di fruizione delle aree protette, ma evidenzia anche l’importanza e il significato che gli abitanti delle zone più ricche e progredite del mondo conferiscono agli ultimi lembi di ambienti rimasti allo stato naturale o solo parzialmente antropizzati.

Tutto questo ha anche un valore sociale ed economico. Non è vero che le aree protette imbalsamano il territorio. Basta scorrere l’elenco dei siti che si trovano in cima alla notorietà e alla frequentazione turistica per accorgersi che si tratta in molti casi di aree naturali protette e che senza di quelle la Sicilia oggi non potrebbe vantare l’immagine che ha nel frattempo acquisito. Come si presenterebbe la Sicilia sul mercato turistico internazionale senza la zona A del Parco dell’Etna, patrimonio dell’Umanità, senza i laghetti di Cava Grande, senza il litorale della foce del fiume Belice o la spiaggia dell’Isola dei Conigli di Lampedusa? Cosa sarebbe in generale la nostra regione senza i suoi 3600 chilometri quadrati di aree naturali protette? E viene d”altra parte spontaneo chiedersi cosa potremmo fare se avessimo un sistema di fruizione meglio organizzato dei nostri spazi naturali, nel quale venisse oltretutto effettuata una vera e seria vigilanza. Perchè su questo punto penso sia opportuno fare una sottolineatura. Il Club alpino italiano ha a cuore la frequentazione delle montagne e in genere dei luoghi naturali, sia perché rappresenta 300 mila soci che amano andare per sentieri, sia perché tiene particolarmente agli abitanti delle terre alte, le quali si stanno sempre più spopolando.
Occorre segnare sentieri e gestire un giusto numero di rifugi sulle nostre montagne, perché così aiutamo quelli che vogliono godere nel modo appropriato di parchi e riserve e nel frattempo danno un contributo economico al territorio, ma serve anche che tutto questo avvenga sapendo che esiste la vigilanza sui territori. Più guardie forestali al lavoro nel Parchi significherebbe dare una mano allo sviluppo pulito e legale della nostra terra. Se i fuoristrada scorrazzano sui Nebrodi (come ha dimostrato di aver capito da poco anche il questore di Messina) non è solo una offesa all’ambiente naturale, ma è anche una dimostrazione diffusa di illegalità e quindi una sfida aperta alla debolezza dello Stato.
Ecco perché abbiamo individuato una particolare sezione dell’Osservatorio da dedicare al tema della fruizione compatibile dei nostri Parchi e delle riserve. Ambito nel quale va sottolineato che ha assunto proporzioni sempre più rilevanti la questione dei divieti legati alla tutela della pubblica incolumità. Non quindi disposizioni a tutela dell’ambiente naturale, bensì a protezione del visitatore, che viene salvaguardato da possibili rischi vietandogli del tutto l’accesso. Si risolve il problema, cancellando l’esistenza per l’uomo di un pezzo di territorio, quantomeno sulla carta. Purtroppo il tema della responsabilità, e in particolare quella dei pubblici funzionari, è un male che in maniera sottile, sta sempre più pervadendo la società italiana, arrivando ad incidere anche sul diritto costituzionale della libertà di godimento. Sulle aree protette la questione manifesta risvolti assai gravi dal punto di vista gestionale. Sostanzialmente in tutti i casi in cui si può prefigurare una responsabilità oggettiva del pubblico funzionario si procede al divieto di fruizione dei beni, luoghi che spesso con tenaci lotte e impegno legislativo sono stati sottratti alle speculazioni di corto respiro. Se infatti non vi è dubbio che la legge 98 del 1981 pone al primo posto la salvaguardia e la difesa degli ambienti e del paesaggio quali finalità delle aree protette, è anche vero che trovano posto nell’elencazioni dell’articolo 1 la “cultura e la ricreazione dei cittadini”, nonché “l’uso sociale e pubblico dei beni”. Su questo ambito già nelle prime attività svolte dai soci del CAI impegnati nella nostra Commissione Tutela Ambiente Montano abbiamo rilevato la presenza di un gran numero di divieti applicati alle varie tipologie di aree protette di cui è persino difficile venire formalmente a conoscenza, ma che esistono e sono legalmente vigenti. (elaborazione a cura di Giuseppe Riggio, presidente CRTAM Sicilia)